Clicca qui per leggere l’articolo, pubblicato sul Quotidiano di Puglia del 10 maggio 2019, sul film Il Grande Spirito.
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“Una piccola impresa meridionale”: il commento e l’intervista a Rocco Papaleo
Ecco il commento di Giuliano al film “Una piccola impresa meridionale” e la sua intervista a Rocco Papaleo. Commento e intervista sono stati pubblicati sul Quotidiano di Puglia del 17 ottobre.
“Se a Roma o a Torino ruggivano gli anni Settanta, in un piccolo paesino del Sud come il mio, miagolava al massimo un Sessantacinque scarso”. Così Rocco Papaleo nella prima pagina del romanzo “Una piccola impresa meridionale”, da cui è stato tratto l’omonimo film. “La questione meridionale in fondo è tutta qui: un endemico scarto di fuso orario, un jet lag della contemporaneità che intorpidisce le coscienze. Del corpo sociale, noi meridionali siamo gli arti periferici, dita e unghie. Il cuore pulsante della nazione batte altrove; a noi, tutt’al più, spetta la manicure”.
Fin qui, la questione meridionale. Ma il titolo è “Una piccola impresa meridionale”. Tre parole che si danno senso a vicenda, perché lette così in fila danno un’idea di modestia d’altri tempi, di cura artigianale, oppure fanno pensare che ogni piccola conquista, al Sud, è un’impresa. “Mi piaceva l’idea di mettere insieme due parole che sono un po’ un ossimoro, visto che il meridione non è spesso considerato capace di imprenditorialità” sostiene Papaleo.
Ma quella di cui si parla qui è soprattutto un’impresa umana. “La piccola impresa meridionale è nel miracolo che si compie: ristrutturando un vecchio faro, i suoi abitanti finiscono per ristrutturare se stessi” si legge nella sinossi del film. “Sono i pezzi difettosi dei loro caratteri quelli che vanno sostituendo; limando spigolosità e accostando differenze, ognuno di loro compie un percorso di emancipazione, scavalcando la soglia del pregiudizio e delle loro personali paure”. E di questa impresa il Sud non è più ossimoro, ma anzi l’unico teatro possibile. Perché in quel faro il Meridione scopre che le ataviche zavorre di cui è schiavo possono essere anche le risorse da cui ripartire. Basta che la morale “elastica” si declini in apertura mentale e le abitudini all’antica in una ricchezza umana che altrove si è persa.
E’ una piccola impresa meridionale, in fondo, anche questo film. Un film fatto di ritmi e di atmosfere prima ancora che di trama e personaggi, e che trasuda anch’esso cura artigianale e il gusto delle cose fatte per piacere prima che per calcolo. Al di là di qualche sfilacciamento sul finale, “Una piccola impresa meridionale” mantiene la leggerezza di tocco e la magia divertita di “Basilicata coast to coast”, aggiungendo però qua e là un inedito spessore drammatico, grazie anche alla bravura degli attori, su tutti Giuliana Lojodice e Giorgio Colangeli.
Dopo il successo di “Basilicata coast to coast”, Rocco Papaleo si cimenta nuovamente con la regia cinematografica in “Una piccola impresa meridionale”. Un faro in disuso in un’imprecisata località del Sud diventa il refugium peccatorum di una serie di personaggi alle prese con problemi personali e variamente esposti al pregiudizio della gente: un prete che non ha ancora confessato di essersi spogliato (Papaleo), suo cognato cornificato e abbandonato dalla moglie (Riccardo Scamarcio), una escort appena ritiratasi a vita privata (Barbora Bobulova) e una coppia di amanti al femminile (Claudia Potenza e Sarah Felberbaum). La decisione di ristrutturare il faro diventa un’occasione di riscatto, che restituisce a tutti fiducia in se stessi e gioia di vivere, con o senza l’approvazione degli altri.
Rocco Papaleo, che obiettivi si era posto con questo film?
Innanzitutto quello di raccontare una storia. Ci sono dei temi che mi stanno molto a cuore, come quello della spiritualità – qui intesa in senso laico come un cambio di direzione che non segue necessariamente le vie canoniche – e i pregiudizi, meridionali e non. Ma più in generale, come in tutte le mie espressioni artistiche, lo scopo è quello di offrire con leggerezza un conforto al pubblico.
Lei interpreta un prete spretato: qual è il suo rapporto con il clero?
Il mio rapporto con i preti risale a quando ero un ragazzino esuberante e il professore di religione mi puniva obbligandomi ad inginocchiarmi davanti a tutti appena lui entrava in classe. Naturalmente non tutti i preti sono così. Pur non essendo credente ho molto rispetto per i religiosi, ma nutro anche un senso critico verso l’apparato.
“Una piccola impresa meridionale” è nato prima come romanzo (edito da Mondadori) e poi come film. Perché questa incursione nella narrativa, e che differenza c’è con la realizzazione di una sceneggiatura?
Col mio coautore Valter Lupo partiamo sempre da un’idea letteraria. Anche quando pensiamo a un film non scriviamo mai in modo tecnico, ma cercando profondità e forma, perché siamo drogati di parole, subiamo il fascino delle parole e della loro musicalità. Anche per “Una piccola impresa meridionale” abbiamo scritto un testo in questo modo, sottoponendolo poi a Sandrone Dazieri perché valutasse l’opportunità di farne una sceneggiatura vera e propria. Lui ha rilanciato suggerendoci di farne un vero romanzo, e noi, sopravvalutandoci un bel po’, abbiamo detto di sì. Il libro doveva uscire molti mesi fa, ma poi la produzione del film si è opposta così ora libro e film sono usciti insieme: sembra un’operazione commerciale, e in effetti lo è!
Anche in questo film la musica ha un ruolo centrale e, a sentire gli attori, anche sul set si respirava un’atmosfera di libertà un po’ “jazz”…
Con Riccardo Scamarcio ci siamo incontrati subito proprio sul terreno della musica. Lui interpreta un pianista, e nel film canta anche una mia canzone, “La tua parte imperfetta”. Quando sono stato a casa di Barbora Bobulova ho visto una pianola e lei mi ha detto che nelle serate con gli amici si diletta col karaoke, una caratteristica che ho deciso subito di trasferire al suo personaggio. C’è poi anche una canzone di Erica Mou, “Dove cadono i fulmini”, che ho voluto inserire nel film a tutti i costi anche se avevamo già finito di girare. Quanto all’improvvisazione jazz… Durante le riprese Barbora si è rotta il piede. Invece di sospendere tutto, ho ‘fatto cadere’ anche il suo personaggio, arricchendo la trama con uno spunto imprevisto.
L’intervista a Rocco Papaleo
Intervista pubblicata dal Quotidiano di Puglia lo scorso 28 marzo.
Uscito quasi indenne (“la gastrite non mi è ancora passata”) dal vortice di Sanremo, Rocco Papaleo continua a vivere sotto i riflettori. Esce infatti venerdì prossimo “E’ nata una star?”, il film diretto da Lucio Pellegrini e tratto da un racconto di Nick Hornby, che lo vede protagonista insieme a Luciana Littizzetto e al giovane figlio d’arte Pietro Castellitto. La storia? Una normale coppia di genitori scopre che il figlio, timido e irrisolto, ha interpretato un film porno e che è eccezionalmente fornito della dote fisica più spendibile in quel genere cinematografico. Dallo sgomento iniziale, i genitori passano dolcemente a una più o meno serena accettazione, nella consapevolezza che, come dice Luciana Littizzetto alla fine del film, “nella vita tutto ha un senso ma non un verso”.
Rocco, quello del film porno è più che altro un espediente narrativo…
Esatto. Il tema del film è: le persone che vivono insieme e non si parlano. Cerchiamo di svelare quello che succede in questi soggiorni dove le famiglie mangiano in silenzio davanti alla tv e non si conoscono davvero.
Ma tu come reagiresti se scoprissi che tuo figlio è una pornostar?
Non sono così moralista, quindi credo che avrei una reazione più morbida, anche se bisognerebbe trovarcisi, in quella situazione.
Però ultimamente (“Nessuno mi può giudicare”, “Una bella giornata”) ti affidano spesso il ruolo del padre meridionale tradizionalista e un po’ retrivo. Essere così meridionali (nell’aspetto, anche nel nome…) alla fine è un’opportunità o un limite?
Se mi offrono questi ruoli è perché evidentemente evoco certe atmosfere e suggestioni. Non lo trovo un limite: io, nel ruolo di meridionale, mi ci sento bene. In fondo è grazie a questo ruolo che in carriera ho sempre lavorato con una certa continuità. Anche se poi mi piace fare anche altro. Quando sono io a decidere i contenuti, come nel film che ho diretto o negli spettacoli teatrali, mi distacco un po’ dal solito ruolo, pur senza rinnegare la mia meridionalità. In “Basilicata coast to coast” ho proposto un’altra faccia, un’altra modalità, un tono diverso. Anche in “E’ nata una star?” sento di aver offerto un’altra versione di me stesso, che è poi quello che facciamo tutti noi attori nel cinema. Invece a teatro è diverso.
Perché?
Il cinema è un lavoro molto estemporaneo: si gira in fretta, non c’è molto tempo per riflettere, e si finisce per appoggiarsi molto su ciò che si è, sul proprio personaggio. A teatro invece è un po’ più semplice lasciare le tue caratteristiche abituali e avventurarsi in personaggi diversi da te.
Della tua interpretazione in “E’ nata una star?”, a parte qualche picco comico, colpisce la recitazione misurata. Come, da “caratteristi”, si diventa attori a tutto tondo?
Ci si misura con quello che si ha a disposizione. Quando si ha un ruolo più marginale, normalmente ti viene affidata una parte più esplosiva, che racconti una storia e un personaggio in poche scene. In questo caso avevo a disposizione un personaggio più complesso, diluito in tante scene, e abbiamo potuto centellinare, mettere in piedi un ingranaggio da orologiaio.
Parlaci del tuo secondo film da regista, che dirigerai alla fine dell’estate.
Si chiamerà “Una piccola impresa meridionale”. Parla di un gruppo di persone che per motivi diversi si trovano a vivere per un periodo in un faro in disuso. Iniziano ad aggiustarlo a poco a poco, finché non si convincono a ristrutturarlo, e in questo modo “ristrutturano” anche le proprie vite.
“Basilicata coast to coast” è stato un piccolo miracolo: budget basso, spunto di trama non troppo nuovo, attori bravi ma non famosissimi, location poco alla moda… Eppure è stato un successo di critica e di pubblico. Qual è il segreto?
Se conoscessi il segreto, farei copia-incolla e ne farei altri cinquanta, risolvendo così il mio futuro. Posso solo dire che mi sforzo sempre di cercare un legame con la mia autenticità. Quando ci riesco, faccio centro: è l’autenticità che ci rende tutti originali, diversi e interessanti.