“SORRIDI E, COME NOI, SEI FELICE”
(Da ‘Na sera ‘e maggio, 2007)
E ti ripenso adesso, sublime maestro di altari e di polveri, di stelle e di stalle, di miseria e nobiltà. Quanta bassa letteratura e quanta infima sociologia hanno ispirato le tue gesta. Prima l’oppio dei popoli, il nuovo Masaniello, Napoli che dimentica i suoi mali. Poi la cantilena del dio nel prato verde e dell’uomo piccolo piccolo fuori dal campo. Definizione pilatesca in cui ci è piaciuto autoassolverci. Non era così, la separazione non è mai esistita. Il nostro era un rapporto viscerale, da te volevamo tutto. Il calciatore, l’uomo, il condottiero, il simbolo del riscatto, la redenzione dei peccati. Non c’era differenza fra calciatore, uomo e mito, non c’era differenza fra te e noi. Ci hai drogato più di quanto noi abbiamo drogato te. Ma quando il giocatore è andato via, la cantilena dell’uomo piccolo l’abbiamo imparata a memoria, abbiamo finito per crederci. E in questo però ci hai aiutato tu, calpestando il tuo mito, sputando con rabbia nello specchio. Scoprimmo o decidemmo di ammettere che il re era nudo. Solo dopo però, quando aveva deposto lo scettro.
Ti sei quasi suicidato. È stato forse il prezzo per rimanere te stesso. Uomo. Debole come un uomo. Solo come un uomo. Vigliacco come un uomo, perché negare un figlio e negarsi a lui è da vigliacchi. Ma pur sempre uomo. E non figurina bidimensionale, non spot di quello che eri, non servo di un calcio che non è il tuo. Nessuna carta di credito sponsorizza la tua giacca, anche perché alla giacca preferisci una maglietta da calcio. È così che vai allo stadio: con la maglia di Maradona addosso come tanti altri tifosi. Anche se Maradona sei tu.
Ti hanno usato, quando giocavi, ti hanno usato tante volte. USA ’94 è una ferita che non si rimargina. Altro che caviglia, altro che Goicoechea. I falli di gioco non fanno mai veramente male, e poi si possono restituire. È quando i giochi si fanno fuori dal campo che sono dolori, e se provi a reagire le cose possono solo andare peggio. Come quando mandarono un arbitro corrotto a dirigere la finale. E poi nel giro di qualche mese ti fecero fuori, per vendicare – e confermare – quanto sillabavi mentre fischiavano il tuo inno. O come quattro anni dopo, appunto negli Stati Uniti. Ti avevano rimesso in forma, ti avevano illuso, ti avevano ridato il giocattolo perché illuminassi un torneo modesto. Li hai abbagliati con lampi di classe, poi li hai spaventati ruggendo nella telecamera. La belva era scappata dalla gabbia, il circo era in pericolo. Hanno chiamato subito i domatori. Il figliol prodigo era tornato, ma hanno ucciso il vitello dimagrito.
Ti hanno usato, ma adesso sei tu ad usare loro. Strappi soldi, ingaggi, lauree ad honorem. Ballare in tv per te non è un disonore, ma mischiarti con “quelli”, beh no, non lo faresti mai. E allora che ti aspettino pure alla cerimonia inaugurale, che resti vuota la tua poltrona di velluto in tribuna autorità. Maradona non arriverà, Maradona vede la partita per conto suo. Perché la sua è una pancia da vizio, da fame di vita, quelle del domatore francofono e delle sue belve ammaestrate puzzano di sazietà arrogante.
Però alla fine cosa resta? Dopo tanti anni e tante parole, cosa è veramente importante? L’istinto, il genio, la belva che corre libera. Questo è importante. Tu che al quarantaquattresimo esci dall’area, poi folgorato da un’intuizione ti ci ributti dentro. Filippo Galli ti marca a uomo, ma tu non lo sei, non sei ancora “solo un uomo”, e corri più veloce di lui, verso la palla liftata che ti ha lanciato Giordano. La tocchi tre volte, quella palla, in meno di un secondo. Sempre di sinistro. Due volte al volo: la stoppi e la porti avanti. Poi le fai toccare terra, la fai rotolare, solo per un metro. Giusto perché l’angolo fra lei e la porta diventi il minimo contemplato dalla geometria. A quel punto la mandi dove è giusto che vada, e la tardiva scivolata di Maldini, il suo finire anche lui di slancio nella rete sono solo un inchino davanti a tanta perfezione. La perfezione di un attimo, che non si può fermare. Tu stai già correndo verso l’angolo, salti e fai una piroetta. Sorridi e, come noi, sei felice.